si riporta di seguito un esempio “ipersemplificato” di un’azienda produttrice di pantaloni che, per essere più competitiva e sopravvivere, decide di spostare la produzione all’estero.
L’azienda sopra citata subisce un calo di mercato importante negli anni 2010 e 2011. Sono 2 anni che vi è una perdita netta in bilancio perché i suoi pantaloni non si vendono più e rischia di chiudere. Produrre in Italia costa troppo! La decisione di esternalizzare è legata al dimezzamento dei costi del personale e l’azienda per continuare le sue attività decide di andare a produrre in Cina.
L’atteggiamento sopra citato è ovviamente causa di perdita di posti di lavoro.
In Cina, i costi di produzione degli stessi pantaloni risultano essere la metà di quelli che si sosterrebero porducendo in Italia.
Non vi è modo per l’azienda che produce pantaloni di competere con chi fa lo stesso prodotto e lo riesce a vendere a molto meno. Il consumatore medio italiano non si può più permettere di comprare i pantaloni made in Italy e l’azienda per non chiudere licenzia i prorpi dipendenti e traferisce la produzione in un paese in via di sviluppo.
“Meglio una gallina Domani”:
Un imprenditore lungimirante è chi continua ad esistere in un mondo che non accetta più il suo prodotto ad un prezzo così alto e per continuare a produrre si sposta altrove, dove i fattori economici glielo permettono.
La non lungimiranza invece si potrebbe anche chiamare: scarsa propensione al cambiamento essere tranquili nel breve periodo, senza problemi coi lavoratori e i sindacati. In questo caso, l’imprenditore non si accorge che per continuare a sopravvivere deve cambiare prospettiva, modificare il suo prodotto e anticipare la crisi.
Effetti sociali:
L’imprenditore con bassa propensione al cambiamento sicuramente garantisce la stabilità ai suoi dipendenti nel breve periodo minando però le basi future. La scelta conservatrice non pagherà nel lungo termine; l’azienda è destinata a fallire non reggendo la competizione ed infine, per non creare disagi prima, si creerà maggiore disoccupazione.
Solitamente un imprenditore che decide di esternalizzare la produzione viene visto come sfruttatore dei lavoratori, che appena ne ha avuto l’opportunità si è fiondato a produrre all’estero, magari dimezzando o riducendo a un terzo la forza lavoro locale.
Dal punto di vista sociale però il produttore italiano, andando a produrre in Cina, assume persone che prima non lavoravano e che hanno diritto a crescere come abbiamo fatto noi europei per primi.
Se vogliamo fare un gioco delle somme, chi decide di andare a produrre all’estero crea ricchezza sociale per un numero di persone più alto, i cinesi e i pochi italiani che sono rimasti nella sede locale, rispetto allo zero che troviamo nel caso in cui l’azienda fallisca.
Le vie d’uscita proposte dalla politica e il fallimento delle classiche politiche sindacaliste:
Le differenti ispirazioni politiche propongono diverse letture e soluzioni.
I politici e i movimenti di sinistra parlano di salari, diritti acquisiti, ecc. I movimenti di destra propongono taglio di imposte, liberismo e mercato. I movimenti di centro cercano di coniugare le 2 cose togliendo un po’ all’uno e un po’ all’altro.
Le diiverse ricette propongono modelli tutti più o meno condivisibili che non analizzeremo ora. Forse l’unica cosa per cui ha senso lanciare una provocazione sono i sindacati dei lavoratori.
I sindacati estremisti classici dalla FIOM alla CGIL, cercando di salvare i diritti acquisiti di tutti in realtà non salvano nessuno nel lungo periodo. Per non puntare sulla qualità e tutelare i migliori, chi lavora bene e produce, mandano tutto a scatafascio, tutelando chi non lavora e si inasconde dietro all’impossibilità di licenziare in Italia un lavoratore dipendente anche se nullafacente. Tutto questo crea disoccupazione, chiude la possibilità ai giovani fuori dal mondo del lavoro di entrarvici per prestare la loro opera ed inoltre rende le aziende meno competitive e gli da una scusa proprio per portare all’estero le proprie produzioni. Il tema del ricollocamento del lavoratore che non è produttivo andrebbe ovviamente trattato a parte.
Che fare?
Tutte le politiche economiche proposte fin ora dai governanti sembrano aver fallito. Come sfuggire a una spirale che sembra infinita? Tutto è basato solo su noi stessi? sull’essere umano che ce la fa da solo? Sull’imprenditore illuminato e sull’operaio capace? Stiamo lentamente tornando all’Homo Homini Lupus e contemporaneamente stiamo buttando via secoli di pensiero sociale europeo ed esperienze felici di socialdemocrazia.
Mi viene il dubbio però che lo stato sociale Europeo per funzionare si sia sempre fondato sull’affamare l’altra metà del mondo.
Forse, ora che lavorano tante persone che prima morivano di fame nei paesei in via di sviluppo e che tanti lavoratori europei non hanno lavoro, ci dobbiamo solo rassegnare al fatto che la storia socioeconomica è un ciclo e ci troviamo nel periodo di discesa. Politiche di destra o di sinistra potrebbero affrontare diversamente la crisi che ci attanaglia, ma infondo devierebbero solo di poco la direzione che è molto chiara e non per colpe occulte, ma perché la società è fatta così.
Stiamo cadendo dalla montagna e stiamo cercando di frenare il naturale evolversi degli eventi per soffrire di meno all’impatto con le roccie sottostanti , ma alla fine lo schianto ci sarà lo stesso. Bisognerà capire il numero di morti e feriti, fare in modo che ce ne siano il meno possibile, per poi ricominciare a risalire, un’altra volta, per poi cadere ancora.